Elia ed Eliseo (2° parte)

un ritratto a matita di Padre Gian Marco Mattei

di Padre Gian Marco Mattei

La lotta contro Acab e Gezabele.

Gezabele, figlia del re della  Siria, quindi pagana, era stata sposata dal re Acab per sancire una alleanza politica; il Suo nome significa “Chi è Dio?”, mentre, come già detto, quello di Elia significa “Jahwè è il mio Dio”. Il racconto inizia con la grande siccità e la conseguente carestia: Elia, il Tisbita, (di Tisbe nel Galaad) disse al re Acab: “Per la vita del Signore, Dio d’Israele, alla cui presenza io sto, in questi anni non ci sarà né rugiada, né pioggia, se non quando lo dirò io” (1Re. 17,1). L’uomo di Dio, il profeta che parla a nome di Dio, è una persona di preghiera, di interiorità, di unione col Signore, di grande fede esperienziale: questo qualifica la sua vita di profeta. Il ciclo di Elia inizia con l’annuncio della grande siccità: è una punizione per il culto pagano di Baal instaurato dai regnanti.  La regina stipendiava un numero considerevole di devoti idolatri: “quattrocento che mangiavano alla tavola di Gezabele”. Elia ha la potenza di Dio perché gli è  fedele, Dio è al primo posto nella sua vita.  La pioggia, così necessaria, soprattutto in Palestina, non dipende da Baal, ma è un dono di Dio, lo dimostra la siccità predetta da Elia. A questa introduzione, seguono, nella S. Scrittura, alcuni episodi riguardanti il profeta, che sembrano anticipare i “Fioretti” di San Francesco, come è stato scritto: piccoli gesti del quotidiano che misurano l’amore dell’uomo verso Dio e l’amore di Dio verso l’uomo; da essi traspira tanta bontà, grande solidarietà verso chi soffre, malati, bambini, vedove e, soprattutto, vi si respira la presenza di Dio.

Elia è anche un grande taumaturgo, operatore di miracoli.

Dunque, il vero culto era minacciato dalla politica di Gezabele che aveva fatto eliminare i sacerdoti – profeti di Jahwè, tanto che Elia, ripeterà al Signore : “sono rimasto solo!”  Ciò nonostante, l’uomo di Dio incontratosi con un servo di Acab , di nome Abdia, che gli suggerisce di nascondersi, perché il re Acab lo cerca a morte, Elia gli risponde fieramente: “Per la vita del Signore degli eserciti (le stelle), alla cui presenza io sto, oggi stesso io mi mostrerò a lui!” (1Re.18,15). Nell’incontro, tutt’altro che amichevole, il profeta gli rinfaccia l’idolatria e chiede di radunare tutto Israele sul monte Carmelo insieme con i quattrocentocinquanta profeti di Baal e i quattrocento profeti di Astarte: egli li sfiderà e si vedrà chi è il vero Dio!

Elia si rivolge al popolo per tre volte, attraendolo gradatamente verso Jahwè, per allontanarlo dall’idolatria e lo accusa “di zoppicare da tutte e due i piedi” (1Re. 18,21), ma il popolo non rispose, come non risponde Baal.

Il sacrificio del Carmelo.

I pagani iniziano con l’invocazione delle loro divinità (Baal e Astarte) per tutta la mattina, ripetendo evidentemente una cantilena, una sola frase, accompagnando, ipnoticamente, per ore la cantilena con una rozza danza cultuale. Essendo i loro sforzi del tutto inutili, Elia li incita, sardonicamente, a tentativi più efficaci ; per lui Baal è così spregevole che il suo silenzio può essere dovuto ad una dormitina, ad un sogno, a un viaggio o alla necessità di attendere… ad un bisogno naturale. Insensibili al sarcasmo di Elia i pagani provano a gridare con più veemenza, versando persino il proprio sangue per attirare l’attenzione di Baal ed entrano in trance senza alcun giovamento!

Elia si rivolge ancora al popolo e lo esorta ad avvicinarsi a lui: quando esso acconsente,  egli inizia i preparativi per il suo sacrificio. Edifica l’altare che ricorda le tradizioni di Giacobbe; fa irrorare con grande abbondanza d’acqua, il giovenco, l’altare, la legna e il canaletto intorno all’altare.

È il terzo anno di siccità, quindi compie una  “libagione” piena di significato: il gesto è in riferimento al rito dell’Alleanza compiuto da Mosè sul  Sinai.  Mentre il popolo si è avvicinato, Elia innalza la sua  preghiera al Signore, una preghiera breve e succinta, ma piena di fede e di amore, in aperto contrasto con quella dei pagani, fedeli di Baal e di Astarte : “Signore, Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe, oggi  si sappia che tu sei Dio in Israele e che io sono tuo servo e che ho fatto tutte queste cose per tuo comando. Rispondimi, Signore, rispondimi e questo popolo sappia che tu sei il Signore Dio e che converti i loro cuori”. La sua preghiera allude a quella di Mosè (Es.32,16) è la preghiera di un “giusto”, capace di muovere il cielo!  “Cadde il fuoco del Signore  e consumò l’olocausto, la legna, le pietre  e la cenere,  prosciugò l’acqua del canaletto intorno all’altare. A tale vista, tutti si prostrarono  a terra ed esclamarono : “Il Signore è Dio, il Signore è Dio!” (Jahwè è il Dio unico e vero!).  La loro enfatica confessione di Jahwè annulla il loro precedente silenzio e permette al profeta di ottenere il loro sostegno per l’eliminazione dei pagani.  Elia disse loro : “afferrate  i profeti di Baal; non ne scappi neanche uno! Li afferrarono. Elia li fece scendere nel torrente Kison e…..”Kaputt!”.

È  la legge del taglione. Fu la punizione esemplare per l’offesa fatta a Dio, per l’inquinamento del vero culto,  per aver fatto rompere l’alleanza e impedito la missione religiosa d’Israele, nonché per la strage dei sacerdoti di Jahwè, per cui il profeta “si lamenterà col Signore  di essere rimasto solo”.  Elia fu, dunque, lo strumento per la salvezza dello Javismo, del monoteismo assoluto!  Nessuna personalità biblica ha dominato il pensiero religioso del giudaismo post-esilico, così profondamente come quello del profeta Elia. Il libro sapienziale del Siracide ne tesse l’elogio (Sir. 48). La letteratura rabbinica sovrabbonda di  considerazioni e racconti su di lui e il suo nome si ripercuote nel Nuovo Testamento, nei Vangeli e nell’Apocalisse.

Be the first to comment on "Elia ed Eliseo (2° parte)"

Leave a comment

Your email address will not be published.


*