Evangelizzazione: gioia e tristezza negli uomini (I°parte)

Di Emiliano Tognetti

Caro lettore,

in questi giorni, ed in queste settimane, mi è capitato di confrontarmi e i riflettere su un tema al quale, come cristiani, ci richiamano i papi del ‘900 e ci richiama anche Papa Francesco fin dall’inizio del suo pontificato: il tema dell’evangelizzazione.

Che annunciare il Vangelo sia un dovere cristiano non importa che lo ricordi, basta leggere il mandato che Gesù fa ai suoi apostoli: «Andate in tutto il mondo e predicate il vangelo ad ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato sarà salvo, ma chi non crederà sarà condannato. E questi saranno i segni che accompagneranno quelli che credono: nel mio nome scacceranno i demòni, parleranno lingue nuove, prenderanno in mano i serpenti e, se berranno qualche veleno, non recherà loro danno, imporranno le mani ai malati e questi guariranno». (Mt 16, 15-18)

Quello su cui ho avuto modo di confrontarmi riguarda alcuni aspetti sul come si evangelizza. Uso queste righe per ringraziare una sorella che mi ha corretto su un punto fondamentale: su un certo tipo di accoglienza da avere con le persone che avviciniamo e che nel nostro cuore in quel momento non ci sia un pregiudizio, perché altrimenti non siamo di Cristo e con Cristo. La persona in quelle circostanze si accoglie così come la troviamo indipendentemente da cosa sta facendo ed entriamo in dialogo con lei, se questa ci accoglie, perché se accoglie noi, accoglie quel Gesù che ci ha inviato.

Premetto che anche se può sembrare a senso unico, l’evangelizzazione è sempre un fenomeno che riguarda in prima persona noi stessi e più evangelizziamo, più siamo evangelizzati!

Detto questo, secondo me, occorre capire che non c’è un’unica forma di evangelizzazione, ma ci sono vari gradi, vari modi di evangelizzare e di portare Cristo e bisogna che ogni persona che incontriamo abbia una sorta di “evangelizzazione ad personam”. Sarà diverso infatti se io incontro una persona che già conosce Cristo e si è allontanata dalla Chiesa per un breve o per un certo periodo di tempo, rispetto ad una persona che non l’ha mai conosciuto, che faceva parte di un’altra confessione o di un’altra religione, etc.

Sarà diverso se io incontro un bambino (anche perché spesso è lui che evangelizza me) che è nato in una famiglia cristiana, rispetto ad uno che non ha questo retroterra, o rispetto ad un adolescente o ad un adulto.

Poi è diversa l’evangelizzazione perché diverso sarà il contesto dove lo applico: il primo annuncio dell’evangelizzazione di strada, sarà diverso dall’annuncio ad un amico o ad un familiare o ad un collega di lavoro: cambia verso l’altro il livello di confidenza e la libertà nel dialogo che posso permettermi con lui.

E su questo livello di confidenza e di libertà di dialogo si basa anche la portata di ciò che io trasmetterò a quella persona: dall’annuncio di una vita nuova in Cristo, del paradiso e della gioia fino al rendere l’altro consapevole dell’esistenza del demonio, dell’inferno, del peccato e della morte.

Eh si! Mi viene da pensare che ci siano livelli diversi di annuncio e di verità e ognuno ha una funzione ed una progressione: all’inizio quando incontriamo una persona ferità, che ha vissuto nelle tenebre del mondo dobbiamo comportarci come Gesù ci indica nella parabola del buon samaritano (Lc.10,29-37): fare poche chiacchiere, caricarci il fratello sulle spalle e portarlo alla locanda avendone compassione, arrivando a coprire le spese che il nostro “ospedale da campo” che è la Chiesa impegna per risanarlo.

Ma questa, per usare un’immagine più moderna, è un’evangelizzazione da “Pronto Soccorso”: io vedo un moribondo, uno che sta per morire ed ho poco tempo per salvargli la vita, quindi poche chiacchiere e facciamo il possibile per togliergli il male che lo porta a morte certa.

Passato il momento del “pronto soccorso”, con la persona che immaginiamo sia stata tratta dall’imminenza della morte, dobbiamo con lei capire le cause e ciò che ha provocato il male mortale, per usare un’immagine analoga, è quello che fanno i medici con le analisi e gli accertamenti quanto è passato il pericolo di vita per il paziente.

Qui il brano di Vangelo che secondo me è più azzeccato è quello dei “discepoli di Emmaus” (Lc 24,13-53), quando Gesù va loro incontro per strada e viaggiando spiega “loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui”. Secondo me il passaggio successivo è questo: spiegare, con la Parola di Dio e l’insegnamento della Chiesa chi è Gesù e capire che cosa ha portato questa persona vicino alla morte.

Questo non è che lo dobbiamo fare noi personalmente, lo farà chi ha i carismi, le conoscenze e le capacità di farlo: siamo sempre Chiesa e dobbiamo ricordarci di vivere ed agire in comunità, come corpo di Cristo, ognuno con le sue funzioni (1Cor 12, 12-27); io sto semplificando un po’ per motivi di esposizione.

Questo però non cambia il senso del discorso: tutti noi dobbiamo farci prossimi agli altri e gli altri si faranno prossimi a noi e alla luce della Parola di Dio e nella Chiesa, arrivare come in un viaggio, progressivamente alla pienezza della verità!

Che Gesù sia la pienezza della verità, è quasi una tautologia: Lui stesso afferma di essere “la via, la verità e la vita” (Gv 14,6), ma Dio stesso al popolo d’Israele si manifesta in maniera progressiva ed adatta la sua rivelazione alla cervice del popolo che si era scelto; non a caso si parla di “dura cervice” e di “pienezza dei tempi”. Queste parole non sono a caso: noi tutti siamo duri, ed abbiamo bisogno che Gesù ci riveli la verità progressivamente, adattandola alle nostre fragilità, alla nostra condizione ed al nostro peccato, perché una volta capito, noi possiamo essere in una maggiore consapevolezza della Gioia di Dio! (prosegue)

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