Possiamo “portare” Dio in terapia? (2° parte)

Alcune considerazioni sulla possibilità di poter affrontare in terapia il rapporto con Dio, in una prospettiva cristiana.

di Emiliano Tognetti

Volendo leggere i comportamenti della superficie ALTRO sul Vangelo, possiamo agganciare questo discorso, rispetto a due visioni che Gesù propone di Dio: per la parte “a destra”, troviamo la definizione della bontà di Dio in Mc 10,18 (Gesù gli disse: «Perché mi chiami buono? Nessuno è buono, se non Dio solo.)

La visione “negativa” di Dio, che Gesù rimprovera agli uomini del suo tempo è quella di un dio “stereotipato”, ridotto alla tradizione e alla semplice legge, che snatura la realtà sostanziale di Dio “Guai anche a voi, dottori della legge, che caricate gli uomini di pesi insopportabili, e quei pesi voi non li toccate nemmeno con un dito!” tutto il brano è Luca 11:37-54, ma sostanzialmente Gesù rimprovera loro di insegnare una legge che non è conforme alla volontà di Dio.

Questi sono solo due accenni, ma il Vangelo è pieno di riferimenti al “Dio di Gesù” che è buono ed è amore, ed il “dio della legge” che è stato snaturato del suo reale contenuto e ridotto solo all’esaudimento del precetto, senza che questi sia in realtà il frutto di una scelta di vita.

Questo è fondamentale, perché è possibile in questo modo è possibile attribuire per “analogia” anche al “Dio di Gesù” la parte “destra del quadrante Altro” (punta amore) e al “dio della legge” la parte sinistra (punta odio).

Sulla superfice “Sé” l’introietto, è possibile identificare i comportamenti che una persona ha in risposta ad un comportamento messo in atto verso “l’Altro-Dio”.

Questo è attribuibile secondo me, anche nei processi di copia e nei DDA, ai doni d’amore, ed in una terapia con un paziente credente, aiutarlo a passare da comportamenti disadattivi dovuti a dei DDA “fraintesi” su un Dio stereotipato a favore di una visione e di una vita di fede, corrispondente a quella che Gesù presenta nel Vangelo e di cui Lui stesso è il modello.

In questo modo, anche la spiritualità ritengo che possa essere in qualche modo una dimensione che entra nel rapporto terapeutico, fra un paziente-credente ed un terapeuta che lo può accogliere o perché condivide la sua visione cristiana della vita, o perché almeno ha un’idea di fondo con cui potersi relazionare.

Questa prima premessa teorica vuol essere un appiglio teorico, ma documentato, per fornire degli spunti di riflessione operativa.

Ritengo che il solo fatto di aiutare una persona a mettere ordine nella sua idea del rapporto con Dio, abbia un primo effetto terapeutico e possa aiutare il rapporto terapeuta-paziente ad arrivare ad una migliore chiarezza. Possiamo fare questo utilizzando uno strumento grafico che aiuta a focalizzare alcuni punti chiave delle dinamiche interpersonali a cui una persona può arrivare anche con il proprio intuito, ma che se sono esplicitati e messi “in chiaro”, possono diventare sicuramente uno spazio di riflessione e di maggiore consapevolezza a favore del paziente ed a trovare un beneficio maggiore nel percorso di cura.

Be the first to comment on "Possiamo “portare” Dio in terapia? (2° parte)"

Leave a comment

Your email address will not be published.


*