Io non ho paura (1°parte)

Di Emiliano Tognetti

Cari lettori,

con questo che nel giornalismo chiamano “editoriale”, voglio darvi il benvenuto in questa nuova edizione del nostro web-magazine “7Gifts.org” e vorrei farlo con le parole del Vangelo che disegnarono il pontificato di san Giovanni Paolo II nel lontano 1978 “non abbiate paura! Aprite, anzi spalancate le porte a Cristo!”.

Ieri sera sentivo forti queste parole nel cuore mentre ero con i fratelli del Rinnovamento nello Spirito a Montenero, presso il Santuario della Madonna delle Grazie e pregavo dentro di me “io non ho paura!”.

“Paura di cosa?” si potrà chiedere qualcuno di voi. “Semplice”, risponderei io, “non ho paura di essere quello che sono: cristiano.” Punto e basta. Lo voglio dire senza fanatismi e senza voler apparire bigotto o retrogrado: essere cristiano fa parte della mia identità, è il punto di partenza di ciò che muove la mia vita e non potrei non esserlo oramai, rinnegherei tante cose di me stesso e della mia storia.

Questo ovviamente è un dono di Dio, sappiamo bene che Pietro ha rinnegato Gesù tre volte e gli altri apostoli, non erano certamente degli “stinchi di santo”, ma spererei con l’aiuto dei fratelli e della Chiesa di poter dire, come San Paolo, di aver “conservato la fede” (2Tm 4,7).

Fatta questa premessa, ecco il motivo per cui non dovremmo avere paura, secondo me: ci dicono che la Chiesa, di cui siamo figli, è in crisi, ma vorrei far sommessamente notare che la Chiesa è sempre in crisi, per un motivo o per un altro: o perché la troppa ricchezza ha obnubilato il suo lato spirituale, o perché le persecuzioni hanno sparso il sangue dei martiri innocenti e quindi è sembrata sempre perdente agli occhi del mondo.

Oggi stiamo vivendo tempi in cui siamo chiamati, come cristiani, a occuparci del bene comune del nostro tempo, non di quello di un ipotetico e idilliaco futuro o di un nostalgico passato, ma di un oggi che è il risultato fatto da persone di ieri e che preparerà le scelte di chi verrà domani. E noi abbiamo il dovere di fare del nostro meglio, e di farlo per bene.

Questi tempi oggi sono caratterizzati da due visioni diverse dell’uomo, che si sono forse frettolosamente semplificate nella sfera sessuale e nei diritti, che oggi prendono il nome di “unioni civili” e “famiglia”.

Premetto che non sono molto d’accordo sui toni da battaglia che si sentono sui mass media, sempre alle prese con poco tempo a disposizione per una parte e in alcuni casi più favorevoli all’altra, ma parlando in generale, non mi piace l’essere “pro” o “contro” qualcosa, come se una scelta potesse davvero essere una sola e poi, chiuso un capitolo, si passa alla prossima battaglia.

Qui si sta parlando di qualcosa di molto più profondo: si sta parlando dell’essere umano, della sua vita e della sua dignità, che è la ricca sintesi di molti aspetti oggi sottovalutati perché vissuti in compartimenti stagni: l’amore, le relazioni personali, la società, il lavoro, il rapporto con sé stessi, con Dio (vale anche per gli atei questo punto di vista), con il creato, etc.

Oggi l’attenzione è puntata sul concetto di famiglia, o “famiglie” come sono definite da una parte, e sui diritti che questo istituto sociale comporta nella vita di ognuno di noi.

In questo dibattito, a mio avviso, sono erronee le premesse: tanti invocano il riconoscimento di diritti da parte dello stato, ma sanno bene cosa chiedono e perché? Io non ne sono così sicuro.

Premetto che non sono “omofobo” e mi riserbo di denunciare per diffamazione chi pensa che io lo sia e lo dico pubblicamente con molto rispetto per le posizioni altrui.

So bene che l’omosessualità non è una malattia e neanche mi sognerei di pensarlo; ognuno in coscienza propria faccia le scelte che ritiene più opportune, ma non si offenda se qualcuno non la pensa come lui. “Tutto è lecito, ma non tutto giova” (1Cor 6,12) diceva San Paolo, e credo che questa sia la linea da seguire e che sia un punto di vista molto laico, valido per credenti e non.

Detto questo, la sensazione che si è nel dibattito di oggi, riguarda due concetti fraintesi alla base: diritto e desiderio e quale mercato reale muovano questi concetti.

Il desiderio è qualcosa che muove l’interno di una persona, che lo spinge a fare dei progetti, ma portato all’eccesso rischia di diventare un’illusione e di impattarsi con la realtà, di cui la società è un’espressione.

Il diritto, se non erro, è la controparte di un dovere e/o la garanzia per sostenere il bisogno di chi non ha la possibilità oggettiva di sopperire a una mancanza e la collettività tutta, amministrata dallo Stato, si fa carico dei più indigenti e dei più bisognosi.

Dico questo, non per spirito di polemica, ma per capire meglio i termini che si usano spesso in maniera impropria. Oggi si legge che “due persone che si amano o che si vogliono bene, hanno il diritto a essere tutelate come coppia”; bene, ma da quando l’amore implica dei diritti sociali? O meglio, il solo fatto di amare una persona e di voler vivere con lei da luogo a un bisogno o a dei doveri? Non lo so. Io credo che spesso anche molte coppie “etero”, abbiano troppa voglia di sposarsi “per tradizione” o perché è “bello”, senza conoscere chi hanno davanti e senza fare esperienza dell’altro. (prosegue)

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