GIACOBBE, IL PECCATORE CHE SI CONVERTE: UNA LOTTA MISTERIOSA (1° Parte)

un ritratto a matita di Padre Gian Marco Mattei

di Padre Gian Marco Mattei

Antefatto

L’argomento di questa riflessione è l’esperienza fondamentale del patriarca Giacobbe, una esperienza  di conversione mediante l’abbandono fiducioso in Dio e la preghiera.  Una esperienza  valevole per ciascuno di noi.

Giacobbe, figlio di Isacco e di Rebecca, è fratello gemello di Esaù, che nacque per primo. Giacobbe lo seguì immediatamente tenendogli il calcagno con la mano, quasi a voler prendere il posto del primogenito, come di fatto avvenne: il suo nome significa “soppiantatore”, come era stato rivelato da Dio a sua madre. Infatti i due bimbi si urtavano nel grembo materno ed ella chiese al Signore: “Perché questo ?” E il Signore le rispose : “Due nazioni sono nel tuo grembo e due popoli dal tuo grembo si disperderanno; un popolo sarà più forte dell’altro e il maggiore servirà il più piccolo” (Gen.25,32). Cresciuti, i due figli rivelano caratteri diversi. Giacobbe è scaltro e direi “strozzino”, perché un giorno si era preparato una buona minestra di lenticchie, quando arrivò Esaù, sfinito, e gli chiese : “Dammi da mangiare!” Giacobbe gli rispose :“Vendimi subito la tua primogenitura”, ed Esaù rispose: “Che mi giova la mia primogenitura mentre sto per morire?” Giacobbe rispose : “Giuramelo subito!”  Lo giurò e vendette la primogenitura a Giacobbe (Gn.25.32-34). In seguito, Esaù sposò donne ittite e questo creò una profonda sofferenza nel cuore di suo padre Isacco, il quale poi, divenuto molto anziano ed avendo perduto la vista, chiamò Esaù e gli disse : “Vai a caccia e preparami un pasto, poi ti benedirò”. Il pasto richiesto era un pasto solenne, un atto sacro di condivisione col figlio maggiore per trasmettergli la benedizione patriarcale, i destini del clan e la responsabilità dell’alleanza con Dio.  Nel frattempo Giacobbe, con la connivenza della madre, indossò le vesti migliori del fratello, usò io suo profumo ed altri accorgimenti, mentre la madre aveva preparato un capretto, come piaceva ad Isacco. Così Giacobbe carpì la benedizione di suo padre.

Al suo ritorno Esaù scoprì l’inganno, scoppiò in alte grida disperate e da quel momento odiò a morte suo fratello Giacobbe.  Allora Isacco pensò bene di mandare Giacobbe in Mesopotamia dallo zio Labano, fratello di Rebecca Gn.28). Durante il viaggio Giacobbe ebbe un sogno : “vide una scala tra cielo e terra e gli angeli che salivano e scendevano”, simbolo della divina Provvidenza che guida la vita, la storia, mediante e nonostante la povera storia umana. In tale occasione furono ripetute a Giacobbe le benedizioni già date ad Abramo e ad Isacco, perciò ancora una volta fu confermata la legittimità della primogenitura (Gen.28,13).  Dio non sceglie i migliori, le persone più capaci, ma rende migliori e capaci le persone che sceglie.

Così Giacobbe giunse dallo zio Labano che aveva due figlie: Lia la maggiore e Rachele la più piccola. Giacobbe mise gli occhi su Rachele, bella di forme e di aspetto, l’amò e la chiese in sposa. Labano gli disse: “Dimmi cosa vuoi in cambio del tuo servizio presso di me”. Giacobbe rispose: “Io ti servirò per sette anni per tua figlia Rachele”. Labano acconsentì. Celebrato il matrimonio, durante il quale la sposa rimase velata, Giacobbe si accorse che suo zio gli aveva dato Lia (dagli occhi smorti) in vece di Rachele, per cui fu costretto a lavorare altri sette anni per avere Rachele.  Prese poi altre due mogli secondarie, come ancelle delle figlie di Labano, secondo l’uso del tempo, così ebbe undici figli. Beniamino, il dodicesimo, nascerà a Betlemme. Questi dodici figli saranno i capostipite delle dodici tribù d’Israele e la prefigurazione dei dodici apostoli, patriarchi del nuovo Israele, la Chiesa.

Al termine del ventennio mesopotamico Giacobbe, che si era enormemente arricchito di bestiame di ogni genere, decise, su ispirazione divina, di tornare nella terra di suo padre, la “Terra promessa” da Dio ad Abramo e ad Isacco. Gli episodi del lungo soggiorno presso Labano, la partenza con mogli e figli, servitori e greggi, ci mostra ancora un Giacobbe scaltro, avido di guadagno, capace sempre di accaparrarsi larga parte delle ricchezze altrui: un uomo davvero poco raccomandabile… E tuttavia Dio veglia su di lui e non gli ritirerà la sua alleanza.  Approfittando del tempo in cui Labano era andato a tosare le pecore, partì con le quattro mogli, gli undici figli, i suoi servi ed uno stuolo innumerevole di pecore e capre, cammelli ed ogni altro genere di bestiame. Labano, scoperta la fuga, lo raggiunse, ma le figlie difesero il marito, anzi rinfacciarono al loro padre di essersi appropriato della loro dote. Labano e Giacobbe fecero pace e si congedarono amichevolmente.

Così Giacobbe giunse al torrente Jabok, affluente di sinistra del Giordano, che segnava il confine con la terra natale, la terra di suo padre, la “Terra promessa”, e così pregò: “Dio del mio padre Abramo e Dio del mio padre Isacco, Signore che mi hai detto: “Ritorna al tuo paese, nella tua patria ed io ti farò del bene”, Io sono indegno di tutta la benevolenza e di tutta la fedeltà che hai usato verso il tuo servo. Con il mio bastone soltanto avevo passato questo Giordano ed ora sono diventato tale da formare due accampamenti. Salvami dalla mano di mio fratello Esaù, perché ho paura di lui : egli non arrivi e colpisca me e tutti, madri e bambini! Eppure tu hai detto : ti farò del bene e renderò la tua discendenza come la sabbia del mare, tanto numerosa che non si può contare” (Gn.32,10-13). Giacobbe rimase in quel luogo a passare la notte.

Eccoci ora all’episodio che vogliamo meditare.

È un testo molto antico e difficile anche nella sua struttura, per cui gli esegeti hanno dato diverse interpretazioni, ma noi seguiremo il pensiero dei Padri della Chiesa, perché si tratta di un testo “ispirato”, cioè dell’eterna Parola di Dio.

La Parola di Dio sia nel giubilo della lode, come in un oracolo di condanna, ci chiama sempre a “conversione della mente e del cuore” e “conversione” in senso biblico, significa: credere all’amore di Dio, alle sue iniziative di Padre, di bontà, di misericordia, credere alla sua fedeltà nell’amore e affidarsi a lui. Vedremo così che Giacobbe è il peccatore che si converte!

Giacobbe agisce ancora con la sua scaltrezza e la prudenza umana : divide il suo clan in due branchi, si  prepara a mandare messaggeri di pace e ad offrire doni al fratello con diplomazia. Ma è terrorizzato al pensiero di incontrarlo: conosce il suo valore guerriero… e sa che ha mille ragioni per essere adirato con lui e potrebbe vendicarsi : tutto potrebbe essere perso in poco tempo: le mogli, i figli, tutti i suoi averi, costati venti anni di sacrifici!   Di notte (per non essere visto e forse con l’illusione di prendere Esaù alla sprovvista), fece passare il guado del torrente alle sue quattro mogli, ai suoi undici figli, a tutti i suoi servi, a tutto il bestiame : controllò tutto sino alla fine e rimase solo.  Mentre aveva usato tutta la sua astuzia per sottrarsi ad una azione pericolosa, si trovò ad affrontare una lotta misteriosa che lo colse nella solitudine e senza dargli la possibilità di organizzare una difesa adeguata. Nel cuore della notte, cioè nell’oscurità, non solo fisica, ma soprattutto interiore, in una situazione tragica, “qualcuno” (in ebraico c’è un termine generico: uno, qualcuno) lottò con lui sino al sorgere dell’aurora.  Vedendo che non poteva vincerlo lo colpì all’articolazione del femore e l’articolazione del femore di Giacobbe si slogò, mentre continuava a lottare con lui. Quegli gli disse : “Lasciami andare perché è spuntata l’aurora” (non si tratta di una realtà astronomica, ma spirituale!). “Lasciami andare”, non è la supplica di un vinto, ma l’ordine accondiscendente del più forte che non impone una nuova prova di forza. Giacobbe rispose: “Non ti lascerò se non mi avrai benedetto”. Gli rispose: “Come ti chiami?” Rispose: Giacobbe  (Soppiantatore). Rivelando il suo nome confessa il suo vero essere e si consegna nelle mani del misterioso aggressore. Riprese : “Non ti chiamerai più Giacobbe, ma Israele, perché hai combattuto con Dio e con gli uomini e hai vinto!”  Giacobbe allora gli chiese : “Dimmi il tuo nome”. Gli rispose : “Perché mi chiedi il nome?”. Giacobbe chiamò quel luogo “Penuel” (davanti a Dio), perché disse: “Ho visto Dio faccia a faccia, eppure la mia vita è rimasta salva!”. “Spuntava il sole quando Giacobbe lasciò Penuel e zoppicava all’anca” (Gn.32.23-32): zoppo, consapevole della sua fragilità. ma benedetto! Si era affidato all’amore e alla misericordia di Dio.

Questo testo essenziale descrive la vocazione d’Israele, la vocazione della Chiesa, la vocazione di ciascuno di noi.

Giacobbe vive un momento di grande tristezza, di grande apprensione, di grande sgomento : tutto può essere perso in poche ore.

È nel cuore della notte. Nella S. Scrittura “l’oscurità è simbolo di incertezza, di inquietudine, di qualcosa che sfugge al dominio dell’uomo: una tenebra che soltanto la potenza di Dio può farci superare.” (P.Bech) Mi sembra che l’incubo di questa oscurità interiore sia bene espressa nel brano di Isaia (21-11-12) : “Mi gridano da Seir: “Sentinella, quanto resta della notte? Sentinella, quanto resta della notte?” La sentinella risponde : “Viene il mattino, poi anche la notte ; se volete domandare, domandate, convertitevi, venite!. È notte nello scenario della storia, le tenebre non lasciano comprendere, né è dato calcolare quando sorgerà l’aurora liberatrice (Sal.130,6 ss.), ma c’è un uomo che con gli occhi penetra l’oscurità e misura i tempi: è l’uomo di Dio, il Profeta che invita alla preghiera e alla conversione. Questo oracolo sul mistero del silenzio e della preghiera, ci dice : Cosa esce dalla notte? Cosa è generato dal buio, dalla tenebra? E la sentinella risponde: dalla notte nasce il mattino, dal buio la luce.

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